martedì 18 febbraio 2014

Il respiro da spartire

Questo post lo devo a un poeta, un giornalista, uno scrittore, insomma a un uomo che fa tutte queste cose. Ma ci sono tanti uomini che fanno tante cose, direbbe qualcuno. E' vero. Tuttavia, leggendo uno dei suoi ultimi libri, ho capito che quello che fa lui, nel nostro paese, non lo fa quasi nessuno, perché per fare quello che fa lui ci vuole coraggio, lucidità, cervello a posto, umiltà a tonnellate, fantasia, follia, amore. Lui si chiama Franco Arminio 
(il suo blog, http://comunitaprovvisorie.wordpress.com/) ed è l'inventore della PAESOLOGIA. Una scienza mai come oggi necessaria, soprattutto per chi vive in luoghi appartati, piccoli, periferici, montani. Mi fermo qui perché non voglio aggiungere altro. Voglio solamente riscrivere qui alcune parti del suo libro che consiglio come un libro da tenere sempre a portata di mano, un libro da regalare a chi si occupa del cosiddetto "bene pubblico", a chi non si arrende.

Geografia commossa dell'Italia interna (e già questo titolo è stupendo).


 
Franco Arminio, Geografia commossa dell'Italia interna, Bruno Mondadori, 2013 

All'inizio del suo libro, Franco si interroga su cosa sta succedendo in questo tempo chiamato, per convenzione, "di crisi":

"Perché la politica è o dovrebbe essere un'elaborazione collettiva. Il pericolo e l'opportunità è che al punto in cui siamo arrivati anche la politica appartiene alle discipline dell'immaginario. Non si sa che strada prendere e allora si fanno arabeschi, congetture. La modernità finisce ogni giorno e ogni giorno prolunga la sua esistenza con una magia collettiva che occulta ciò che è in piena evidenza: non crediamo più alla nostra avventura su questo pianeta. Non abbiamo nessuna religione che ci tiene assieme, nessun progetto da condividere. La paesologia denuncia l'imbroglio della modernità, il suo aver portato l'umano dalla civiltà del segno alla civiltà del pegno."

Cosa suggerisce, allora, Franco?

"In uno scenario del genere una politica possibile è la poesia. La poesia non è il fiore all'occhiello, è l'abito da indossare, ma prima di indossarlo dobbiamo cucirlo e prima di cucirlo dobbiamo procurarci la stoffa. La poesia ci può permettere di navigare nel mare delle merci lasciandoci un residuo di anima. La poesia è la realtà più reale, è il nesso più potente tra le parole e le cose. Quando riusciamo a radunare in noi questa forza, possiamo rivolgerci serenamente agli altri, possiamo scrivere, possiamo fare l'oste o il parlamentare, non cambia molto. Quello che conta è sentire che la modernità è una baracca da smontare. Una volta che la baracca è smontata, piano piano impareremo a guardare la terra  che c'è sotto per costruire in ogni luogo non altre baracche, ma case senza  muri e senza tetto, costruire non la crescita, non lo sviluppo, costruire il senso di stare da qualche parte nel tempo che passa, un senso intimamente politico e poetico, un senso che ci fa viaggiare più lietamente verso la morte. Adesso si muore a marcia indietro, si muore dopo mille peripezie per schivare la fine. E invece c'è solo il respiro, forse ce n'è uno solo per tutti e per tutto. Spartirsi serenamente questo respiro è l'arte della vita. Altro che moderno o postmoderno, altro che localismo o globalità."

E ancora, in un'altra pagina da mandare a memoria, un nuovo invito a occuparsi del nostro luogo e del nostro tempo:

"Non è la crescita la nostra salvezza. La nostra salvezza è la poesia che ancora c'è nelle nostre terre, è questa nuova religione che ci tiene insieme, quest'antica bellezza che vogliamo proteggere e accudire. Non ci aspettiamo niente da nessuno dei parolai che stanno sulla scena. C'è da lavorare con gioia, e poi leggere, ridere, guardare. E per fare questo non abbiamo bisogno solo di leggi e di progetti, di sindaci ed esperti. Le nostre poltrone sono queste montagne, il grano che sta crescendo, le rose che fra poco fioriranno."

Così, Franco ci indica non tanto una via, una ricetta, quanto un "modo", un possibile rimedio. Penso ai miei luoghi, al mio paese, spesso bistrattato dai suoi stessi abitanti, abbandonato quasi a se stesso, svilito, arricchito e impoverito in nemmeno 30 anni. Penso alla poesia dei nostri padri, delle nostre madri, al loro stare nel luogo e nel tempo. Chissà? Sono sconsolato, ma non accetto alcuna facile resa. Da qualche parte, nella geografia commossa, c'è un uomo come Franco che spartisce il suo respiro con il mio e con il respiro di chiunque abbia a cuore la poesia e la vita.

"Il futuro dei luoghi sta nell'intreccio di azioni personali e civili. Per evitare l'infiammazione della residenza e le chiusure localistiche occorre abitarli con intimità e distanza. E questo vale per i cittadini e più ancora per gli amministratori. Bisogna intrecciare in ogni scelta importante competenze locali e contributi esterni. Intrecciare politica e poesia, economia e cultura, scrupolo e utopia."

Per quanto mi riguarda, ritrovo nelle parole di Franco un po' delle mie esperienze recenti, un po' della follia che mi ha spinto a riprovarci ancora. Non ho parole chiare come le sue, ma ho sempre amato dondolarmi tra la politica e la poesia, tra lo scrupolo e l'utopia.

Grazie Franco Arminio, per questo libro denso, difficile, duro, poetico, utopico, paesologo, terraiolo, montagnoso, valligiano. Grazie per la tua Bisaccia sempre piena di bellezza e intelligenza.


Vi prego, leggete questo libro, leggetelo da soli, leggetelo agli altri, imparatene dei pezzi a memoria, regalatelo. Insomma, lasciatevi commuovere dalla paesologia.



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